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ENRICO FEDRIGOLI

Corpo Macchina

Mostra fotografica

11 + 12 settembre
10 + 17 ottobre

 

 

“Corpo macchina” è una componente del banco ottico. “Corpo macchina” è anche la macchina come organismo funzionale ad un τέλος. Ed è pure un corpo che si fa macchina accettando di questa fratture, digressioni, inutilità progressiste e industriali.
Ci è sembrato che queste tre declinazioni di una relazione storica – e storicamente oggetto della ricerca teatrale – si risolvessero tanto nel rigore architettonico di Enrico Fedrigoli, quanto nella necessità dell'inatteso “vero” del fare dei Masque.
Percorrere le finestre che il banco ottico di Fedrigoli apre nella pittura dell'immaginario è muoversi in quegli spazi che Perec chiama gli “spazi del dubbio”. Spazi che non esistono perché di essi c'è solo la percezione, la memoria, il vissuto. “Tali luoghi non esistono, ed è perché non esistono che lo spazio diventa problematico, cessa di essere evidenza, cessa di essere incorporato, cessa di essere appropriato”. La soluzione poteva essere la post-fotografia, quella fotografia che smaterializza non solo le immagini, ma la loro fonte. La post-fotografia genera un universo in cui – sgretolate le nozioni  di originalità, priorità, verità e memoria, tutto può essere falso. Il “falso” di Fedrigoli invece è riorganizzazione del materiale narrativo, suggerimento di un accesso possibile al ventre rigido e duro del “corpo macchina”. É con-fusione tra Still Life e architettura, tra bidimensionalità e tridimensionalità di spazi reali ma – alla Perec -“inesistenti”.
In questo suo “come se” condivide con lo spettatore l'incertezza della sua posizione obliqua, faticosa e spericolata: visitatore, attore o pubblico vivono la stessa divertita consapevolezza della molteplicità del possibile.
Il Teatro Félix Guattari dov'è? Le parti non ricompongono il tutto. Cosa succede quando il reale come fonte si perde? La fotografia rompe il vincolo con il suo referente e si piega alla propria natura. Per Enrico Fedrigoli tutto questo è ore di camera oscura, meticolosa scelta delle carte di stampa, materia e mani.
Il digitale e la rete sono la morte della fotografia che separa hegelianamente manifestazione da essere cercando la verità della Scienza: “Mi interessa il trauma delle fotografie in sé: con le fotografie in digitale l’anima resta ma il corpo se ne va” scriveva Fontcuberta. Qui l'anima è corpo e il corpo è macchina.

Simone Azzoni