Ricerca di un linguaggio
Cerco un linguaggio come cura dell’esperienza.
Osservo e ascolto retoriche e gesti lungo la piega dell’azione e della parola, per scongiurare la lingua che normalizza, che interpreta, che dispiega, che giudica, che colloca nel sapere. Cerco una parola contaminata con il silenzio del fare, che sfida la sottrazione del respiro e dell’attenzione. Cerco una presa della parola che sfidi e disintegri la frase che assegna il senso, che deruba il campo, che assoggetta a un sapere, che sequestra il soggetto, che nomina l’estraneo. Cerco questa parola nella macchia cieca di una rimozione: la parola che è stata accanto agli esperimenti del vivere, la parola intrisa dell’incerta ricerca del gesto compiuto, la parola che accompagna la pazienza del tentativo. Il teatro è stato abitato da questi fenomeni e dalle loro enunciazioni, dagli esperimenti dell’azione consapevole, dai passaggi del corpo in vita. Anche se il teatro del secolo scorso non fosse esistito nei fatti delle produzioni, delle rappresentazioni, degli insediamenti e delle percezioni, ne sarebbe rimasta una costellazione di discorsi. Poiché il discorso attuale del/sul teatro sembra saziarsi delle briciole del convivio filosofico e dei formulari delle scienze sociali, forse è bene riconsiderare ciò che è stato, nel discorso dei teatri al mondo: una scia di accenti e scritture che eccedono la misura dei testi e dei generi, che forzano i lessici e le sintassi, che irrigano prose narranti e ritmi pensanti.
Tali voci sono annientate nell’ordinaria usurpazione che il campo del teatro subisce dai domini della conoscenza, dal penoso conformismo dell’ultimo grido, dall’ignoranza che annienta e mi-
sconosce le pratiche. O dalla presunzione di considerare e osservare le azioni come dimostrazioni di un’etologia generalista, come testi e pretesti per argomentare uno stato del mondo. Sottratti alle finalità e agli equivoci della riproduzione e dell’interpretazione, alle retoriche dell’attualità, i discorsi generati nelle pratiche sono sondaggi di una terra di mezzo, tra la comprensione e l’enigma, tra l’evidenza e l’oscurità. Sono l’atmosfera e il respiro di un immane stato dei corpi, del suo Nachleben: parole che guidano nel cammino oltre il linguaggio. Concludo e invito alla riflessione con due citazioni, che intendo come domande da riecheggiare, da moltiplicare: «Chi ha dimenticato il potere di comunicazione e il mimetismo magico di un gesto, può riapprenderlo dal teatro, poiché il gesto porta in sé la sua energia, e a teatro ci sono, nonostante tutto, esseri umani che manifestano l’energia del gesto compiuto». (Antonin Artaud, Il teatro e il suo doppio, 1938) «Come la filosofia, il teatro scorre in due vasti fiumi: il fiume dei fatti e degli effetti osservabili che scorre davanti a noi pieno di cose che riaffiorano di continuo; e il fiume sotterraneo, correnti sotterranee nascoste, ipotesi sonnolente, pacchi metafisici, le buffonate in lotta della storia, il rozzo Zeitgeist [spirito del tempo], non identificabili ed enigmatici, che ci fanno fluire». (Julian Beck, Theandric, 1982).
Raimondo Guarino
________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ Da qualche anno c’è uno spazio a Crisalide riservato al dialogo con gli artisti intorno a opere e poetiche, conversazioni in forma privata trascritte per essere consegnate a lettori e spettatori interessati. Dal 2018 i dialoghi hanno assunto una forma collettiva, una traccia di comunità nelle possibilità temporanee dell’incontro. Oggi è forte la sensazione di camminare su fragili isole sul punto di inabissarsi, per giunta divise da confini impermeabili che dovremmo cercare di rendere porosi, per non scomparire. Viviamo in un feroce spaesamento, assediato dal disincanto e dall’autoassoluzione. Un punto di ripartenza possibile: mettere al centro le nostre persuasioni, le affermazioni di ricerca nell’arte che ci conducono dall’io al noi. Servirà?
Lorenzo Donati |
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RAIMONDO GUARINO è professore ordinario di Discipline dello Spettacolo dal 2007 nell’Università Roma Tre. Ha scritto su Shakespeare (Shakespeare: la scrittura nel teatro, Roma 2010), il teatro nello spazio urbano (Teatri Luoghi Città, Roma 2008), la scrittura nelle culture teatrali (Beyond Books and Plays, con Lene Buhl Petersen, Firenze 2019), teatro e città nel Rinascimento (Teatro e mutamenti, Bologna 1995, riedito da Cue Press nel 2019), la nozione di ritmo nel teatro del Novecento (Ritmo, con Paolo Apolito e altri, Potenza 2018).
Molti dei suoi saggi pubblicati di storia e filosofia del teatro si leggono nella pagina personale di Academia.edu. LORENZO DONATI Giornalista e critico teatrale, sta svolgendo un dottorato di ricerca in discipline teatrali al Dipartimento delle Arti dell’Università di Bologna con un progetto interdisciplinare sullo spettatore, tutor Marco De Marinis. È tra i fondatori di Altre Velocità, gruppo attivo fra giornalismo, radiofonia ed educazione dello sguardo. Collabora e ha collaborato con riviste specialistiche a livello nazionale, settimanali e radio locali e fa parte della giuria e del Comitato di gestione dei Premi Ubu. Conduce, con Massimo Marino, il laboratorio di critica e giornalismo Bologna Teatri, presso il centro La Soffitta del Dipartimento delle Arti, Università di Bologna. È fra i coordinatori di Crescere spettatori, progetto di Altre Velocità che punta a creare un modello sperimentale di formazione del giovane pubblico. Nel 2018 ha curato, con Rossella Mazzaglia, il libro Crescere nell’assurdo. Uno sguardo dallo stretto (Academia University Press). |
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